di Lorenzo Bandera
17 maggio 2012
http://secondowelfare.it/terzo-settore/fondazioni/le-fondazioni-di-comuita-in-italia.html
Cosa sono le fondazioni di comunità?
Le fondazioni di comunità sono enti non profit di diritto privato
il cui obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita della
comunità presente su uno specifico territorio e promuovere al loro
interno la cultura del dono e della solidarietà. A differenza di altri
soggetti non profit queste organizzazioni non hanno come scopo
l’accumulo di risorse per il perseguimento di una causa precisa,
individuata dall’organizzazione stessa in base alle necessità del
territorio, ma puntano piuttosto a favorire l’attività filantropica dei
soggetti attivi della comunità, siano essi cittadini, imprese, enti
pubblici od organizzazioni del Terzo settore. Le fondazioni di comunità
hanno come finalità la promozione della cultura della donazione e si
prefiggono di stimolare erogazioni e contributi a favore di progetti
d’utilità sociale rimuovendo tutti quegli ostacoli di natura culturale,
fiscale, legale ed amministrativa che normalmente impediscono ai membri
di una comunità di contribuire allo sviluppo del bene comune.
Queste realtà sono nate negli Stati Uniti quasi un secolo fa, nel
1914, per organizzare e canalizzare forme di filantropia basate su
erogazioni provenienti da trust gestiti dalle banche, creati da soggetti
facoltosi per il perseguimento di scopi caritatevoli. Le fondazioni di
comunità si sono diffuse principalmente in Nord America e solo nel corso
degli anni Novanta hanno iniziato a svilupparsi, con modalità e
tempistiche diverse, anche nel resto del mondo. Negli Stati Uniti le communities foundation
hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo importante in molteplici aree
del Paese, indirizzando e coordinando le risorse presenti sul territorio
verso tutti quegli enti e attività ritenute socialmente utili per la
comunità. Attualmente negli Stati Uniti se ne contano oltre 700, come
mostrano anche i dati del Foundation Center, e il loro valore economico sia in termini patrimoniali che di risorse erogate risulta essere particolarmente significativo.
La nascita delle fondazioni di comunità italiane ad opera di Fondazione Cariplo
In Italia le fondazioni di comunità sono un fenomeno relativamente
recente, che tuttavia negli ultimi anni si è sviluppato con crescente
intensità. E’ infatti del 1997 la decisione della Fondazione Cariplo di attivare un progetto, ispirato al modello delle sopracitate community foundations
americane, volto alla creazione di fondazioni di comunità in tutte le
province della Lombardia e nelle province piemontesi di Novara e del
Verbano-Cusio-Ossola. Le motivazioni che hanno spinto Cariplo ad
investire sulle fondazioni di comunità sono varie, ma indubbiamente fra
di esse si registra la necessità da parte della Fondazione di rafforzare
i contatti coi territori e le comunità locali. Dopo l’approvazione
della legge sulla ristrutturazione del sistema creditizio italiano (legge 30 luglio 1990, n.218,
nota anche come “legge Amato”), che imponeva agli istituti bancari la
divisione tra attività di credito e attività di beneficenza, Cariplo si
era infatti trovata priva di propri referenti sul territorio, ruolo
precedentemente ricoperto dalle filiali del gruppo bancario. Da qui la
scelta di investire sul progetto Fondazioni di comunità, che sembrava in
grado di rispondere parzialmente a questa problematica che limitava la
capacità operativa della Fondazione verso le comunità locali. Tra il
1999 e il 2006 Cariplo ha costituito 15 fondazioni di comunità, ovvero
quasi la metà delle 32 attualmente presenti in Italia.
Obiettivi, strumenti e risorse delle fondazioni di comunità
Le fondazione di comunità non si limitano all’erogazione di
risorse, ma puntano alla creazione di network che mettano in contatto
donatori, investitori, istituzioni e organizzazione del Terzo settore
presenti in un dato territorio. Una rete, dunque, potenzialmente in
grado di coinvolgere attori sia pubblici che privati nella realizzazione
di opere di utilità sociale e, soprattutto, che mira ad un
coinvolgimento crescente dei cittadini nelle attività della fondazione.
Attraverso la creazione di bandi tematici, ad esempio, le fondazioni non
solo hanno la possibilità di erogare risorse a vantaggio di molteplici
soggetti presenti sul territorio (che possono andare dalle
organizzazioni non profit agli enti pubblici, dalle società sportive
dilettantistiche agli enti religiosi), ma anche quella di assistere e
supportare tali realtà tanto nell’elaborazione quanto
nell’implementazione dei progetti presentati. In questo modo la
fondazione va oltre il ruolo erogativo, presentandosi come soggetto
attivo nello sviluppo di azioni favorevoli al territorio, e
potenzialmente in grado di svolgere una funzione di valutazione delle
misure promosse.
Le
fondazioni offrono indubbi benefici alle organizzazione del Terzo
settore presenti sul territorio, ma notevoli sono anche i vantaggi
offerti ai potenziali donatori. Le fondazioni infatti fornisco a coloro i
quali desiderano investire in ambito filantropico una serie di
strumenti flessibili che possono incoraggiare l’impegno di risorse
finanziarie. La struttura della fondazione permette infatti di
diversificare sia la modalità che l’oggetto delle donazione,
l’integrazione con altre risorse a disposizione del patrimonio della
fondazione, una gestione professionale delle erogazioni, il supporto
legale relativamente ai benefici fiscali, l’adempimento di oneri
burocratici e la pubblicizzazione dell’attività filantropica.
La
molteplicità di fondi costituiti all’interno delle fondazioni dimostra
la flessibilità degli strumenti messi a disposizione di chi ha desiderio
di donare per sviluppare la propria comunità. Oltre ai fondi di
erogazione, destinati alla realizzazione immediata o dilatata nel tempo
di uno specifico progetto, possono esistere diversi fondi patrimoniali,
le cui rendite vengono destinate a sviluppare opere indicate dal
donatore attraverso un’ampi gamma di possibili criteri. Possono essere
ad esempio costituiti fondi per la comunità, il cui reddito è destinato
ai bisogni di una particolare comunità o territorio; fondi alla memoria:
costituiti per onorare la memoria di un proprio caro con interventi nei
settori a cui era particolarmente legato; fondi d'impresa: costituiti
da singole imprese per la gestione delle proprie attività filantropiche;
fondi per area di interesse, il cui reddito è destinato ad una
particolare area di intervento sociale; fondi con diritto di utilizzo o
indirizzo, in cui cioè il donatore indica di volta in volta i
beneficiari della donazione; fondi di categoria, costituiti da
organizzazioni di categoria per promuovere l'immagine del proprio ente e
favorire le donazioni dei propri membri o associati; fondi correnti,
che danno la possibilità di elargire non solo gli interessi maturati ma
l’intera somma su richiesta del donatore. La denominazione o lo scopo
dei fondi possono variare da fondazione e a fondazione, ma l’elenco
sopra proposto permette di percepire la varietà di opzioni tra cui un
soggetto può scegliere nel momento in cui decide di donare attraverso
una fondazione di comunità.
L’intervista a Bernardino Casadei, presidente di Assifero.
Per
aiutarci a capire meglio quale ruolo svolgono e potrebbero svolgere le
fondazioni di comunità nel nostro Paese abbiamo chiesto a Bernardino
Casadei, Segretario Generale di Assifero,
di concederci un’intervista inerente questo tema. Assifero,
Associazione Italiana Fondazioni e Enti di Erogazione, raccoglie diverse
realtà (elenco dei soci) che
svolgono attività erogativa a vario titolo. Tra di esse possiamo
rintracciare enti di erogazione indipendenti, fondazioni di famiglia,
fondazioni d’impresa, fondazioni private e le citate fondazioni di
comunità. Bernardino Casadei prima di assumere la carica di Segretario
Generale di Assifero ha collaborato con Fondazione Cariplo come Project
Manager del Progetto Fondazioni di Comunità, attraverso il quale è stata
possibile l’introduzione di questa tipologia organizzativa anche nel
nostro Paese.
Dott. Casadei, ci potrebbe brevemente descrivere come si sono diffuse le fondazioni di comunità in Italia?
L’introduzione delle Fondazioni di Comunità (FC) in Italia è
avvenuta grazie all’impegno della Fondazione Cariplo. Quando nel 1996 ho
iniziato a presentare l’ipotesi delle FC a Giuseppe Guzzetti, allora
consigliere di Fondazione Cariplo, in Italia pochissimi avrebbero saputo
spiegare cosa fossero questi soggetti. Perché Cariplo decise di
investire su questa strada? La ragione principale era legata ad una
problematica interna a Cariplo: con la separazione ufficiale dalla banca
la Fondazione aveva perso il contatto con le filiali del gruppo
bancario, ovvero con quelle realtà che per anni erano state le referenti
locali per la gestione della beneficienza. Fondazione Cariplo aveva la
necessità di trovare un nuovo modo per gestire i propri contatti sul
territorio della Lombardia (e nelle province di Novara e Verbania),
soprattutto in relazione alla gestione delle erogazioni medio-piccole.
Gestirle centralmente rischiava infatti di risultare eccessivamente
oneroso, comportando conseguentemente la diminuzione dei contributi
realmente erogati. Davanti a questo problema è stata presentata
l’ipotesi, fondata sull’esperienze americane della Kellogg Foundation in Michigan e del Gift Giving Program in Indiana,
di dar vita a degli enti autonomi che potessero essere anche partner
naturali della fondazione Cariplo nella gestione delle erogazioni sul
territorio. Questa, se vogliamo, era la motivazione interna, più
tecnica, del progetto. L’altra importante ragione era invece la volontà
di creare un’infrastruttura in grado di mobilitare le donazioni,
democratizzare la filantropia istituzionale e favorire l’emergere di
elargizioni da e per il territorio. Pochissimi credevano che il progetto
scaturito da queste ipotesi iniziali, soprattutto relativamente alla
seconda, potesse funzionare in qualche modo. Eppure sono state create 15
Fondazioni di comunità legate al progetto Cariplo. Dieci hanno
completato il “progetto sfida” nei termini stabiliti, due sono un po’ in
ritardo ma sono anch’esse in dirittura d’arrivo, mentre tre lo stanno
ancora realizzando. “Completare la sfida” significa che la Fondazione di
Comunità nel corso di un periodo di 10 anni, è riuscita a raccogliere
autonomamente 5 milioni di euro in donazioni patrimoniali, e che
pertanto ha diritto all’ottenimento di altri 10 milioni provenienti da
Fondazione Cariplo.
Può spiegarci meglio questo sistema?
Se le FC riescono a raccogliere 5 milioni destinati alla
costituzione del loro patrimonio la Fondazione Cariplo si impegna a
fornire alle stesse altri 10 milioni. In estrema sintesi il progetto
funziona così: al momento della costituzione dell’ente la Fondazione
Cariplo crea al proprio interno un fondo patrimoniale di 5 milioni di
euro specificamente destinato alla neonata FC, da cui inizialmente si
prelevano i soldi necessari per ottenere il riconoscimento della FC.
Ogni anno la fondazione Cariplo fornisce alla FC la rendita derivante
dal fondo, calcolata sul tasso ufficiale di sconto maggiorato dello
0.5%, a condizione che la FC nel corso dell’anno sia stata in grado di
raccogliere almeno 516.000 € destinati al patrimonio. Se la fondazione
non riesce a raccogliere tali risorse gli interessi del fondo vengono
congelati fino al raggiungimento della quota prevista. Pertanto in 10
anni la FC dovrebbe raccogliere, per godere degli interessi maturati dal
fondo istituito da Cariplo, un totale di oltre 5 milioni di euro
destinati all’aumento del proprio patrimonio. Se la FC riesce in questa
“sfida” Fondazione Cariplo si impegna a raddoppiare quanto raccolto,
erogando altri 10 milioni di euro “premio” e portando il patrimonio
della FC a ben 15 milioni.
Questo sistema ha funzionato?
Ha funzionato quasi dappertutto, solo le FC di Cremona e Pavia
hanno avuto alcuni problemi che tuttavia sono stati quasi completamente
risolti. Le fondazioni, una volta completata la “sfida” hanno
teoricamente a disposizione un fondo di almeno 15 milioni di euro che in
alcuni casi, come per esempio a Novara, è cresciuto ulteriormente fino
al raggiungimento di oltre 20 milioni di patrimonio.
Quali sono i vantaggi che le FC offrono alle organizzazioni del Terzo settore e ai donatori?
I donatori attraverso una FC possono godere dei vantaggi di una
propria fondazione senza doversi assumere gli oneri ad essa collegati.
Tutti gli aspetti gestionali e burocratici sono infatti svolti dalla
fondazione di comunità, mentre i donatori possono invece godere di tutti
i benefici fiscali del caso. Parimenti gli enti non profit attraverso
la collaborazione con la FC offrono ulteriori garanzie ai donatori circa
le proprie attività, e attraverso la fondazione sono in grado di
gestire alcuni tipi di donazioni, come i lasciti testamentari, la cui
gestione risulta essere tutt’altro che semplice. Questi vantaggi sono
notevoli per le piccole organizzazioni del Terzo settore, ma anche le
grandi possono ottenere benefici avvalendosi della collaborazione con
una FC. Faccio un esempio: se come donatore volessi fare una donazione
personale alla sezione del Wwf del mio territorio questa, per
regolamento interno, dovrebbe essere destinata alla sede centrale del
Wwf di Roma. Quindi, se volessi avere la certezza che quel denaro andrà a
sostenere progetti svolti dalla sezione del Wwf del mio territorio, non
potrei avere alcun tipo di garanzia. Creando un fondo presso la
FC questa problematica viene superata: la fondazione è in grado di
fornire ogni anno al progetto del Wwf del territorio da me indicato la
mia donazione, garantendomi pertanto la certezza sulla destinazione
delle risorse fornite. Ovviamente le cose sono spesso più articolate di
così, ma questo piccolo esempio rende l’idea di come la fondazione possa
essere una risorsa sia per i donatori che per le organizzazioni del
Terzo settore, sia grandi che piccole, presenti sul territorio.
Potrebbe spiegarci meglio quali benefici fiscali può avere un’azienda donando attraverso una FC?
L’azienda ha tre vantaggi dal punto di vista fiscale. In primo
luogo ha un vantaggio dal punto di vista burocratico/amministrativo.
Un’azienda potrebbe anche decidere di donare a una Onlus senza passare
per la FC, tuttavia attraverso la mediazione della fondazione l’azienda
può decidere di donare, e godere dei relativi benefici fiscali, anche
senza aver deciso la destinazione ultima della donazione. L’azienda può
infatti donare alla fondazione prima della scadenza dell’anno fiscale e
decidere in un secondo momento come investire quel denaro. Dal punto di
vista amministrativo c’è quindi un vantaggio temporale, perché è
possibile donare pur non sapendo a quali progetti destinare quella
donazione. Questa è una possibilità molto importante non solo in termini
fiscali: attraverso un’unica donazione si può decidere di finanziare
più progetti pur non avendo ancora deciso nello specifico come, quando e
quali iniziative sostenere. Senza passare dalla FC ogni progetto
dovrebbe invece essere previsto e documentato nella redazione del
bilancio, un fattore che indubbiamente può disincentivare la donazione.
Secondo: finanziando la fondazione, che è una onlus garantita, non è più
necessario andare a verificare se le organizzazioni a cui si vuole
donare sono affidabili e/o permettono di ottenere benefici fiscali. E’
la fondazione che effettua questi controlli e garantisce la possibilità
di detrazione donando a quel progetto. Terzo: attraverso la fondazione è
possibile finanziare progetti di carattere sociale anche di enti che
non hanno fine di lucro ma sono privi della qualifica di Onlus, cosa che
non sarebbe fattibile attraverso un’azione diretta.
Secondo lei non c’è il rischio che le FC contribuiscano a promuovere a un tipo di filantropia ormai considerata sorpassata?
In primo luogo ritengo che questo tipo di filantropia non sia
affatto sorpassata, e che anzi ci sia un grande ritorno a questo tipo di
approccio fondato sul dono. L’Italia ha sempre avuto una grande
tradizione filantropica, che tuttavia dall’unità in avanti è stata
volutamente distrutta e sradicata. Inoltre bisogna considerare come i
donanti, attraverso il sistema delle FC, non siano riconducibili ad
un’unica categoria, ma possano provenire dai contesti sociali più
disparati. Il donante si trova di fronte a uno strumento per la gestione
dell’aspetto finanziario, dopo di che se vuole partecipare direttamente
allo sviluppo del progetto può farlo tranquillamente, così come può
decidere di limitarsi alla donazione e basta. Attraverso le modalità
operative delle FC diventa inoltre più facile stabilire relazioni con
altri donatori. Per esempio un’esperienza molto diffusa all’estero è
quella dei giving circle:
donatori che si mettono insieme per attivare progetti che altrimenti
non si azzarderebbero a intraprendere da soli. La FC in questo caso può
svolgere il ruolo di agente fiscale, di supporto
burocratico/amministrativo, offrendo servizi che un gruppo eterogeneo di
donatori difficilmente sarebbe in grado di svolgere autonomamente.
Ribadisco: la FC è uno strumento che può essere utilizzato in diversi
modi, a seconda della sensibilità di chi decide di usufruirne. Ci può
essere il soggetto che decide di donare e basta, così come può esserci
quello che decide anche di farsi coinvolgere direttamente nelle attività
che finanzia. In tutti i casi, comunque, i problemi che potrebbero
emergere per il donatore dal punto di vista burocratico sono già
superati, in quanto affidati a un soggetto, la FC, in grado di
risolverli al posto di chi dona. Altra cosa da non sottovalutare: le
persone possono considerare bello e interessante donare, ma viviamo una
società estremamente frenetica e quindi se non ci si pone nelle
condizioni di farlo si finisce col rimandarlo continuamente. Attraverso
la FC invece anche questo rischio è limitato. Io per primo, ad esempio,
ho un mio fondo presso la Fondazione di Como, luogo dove abito, che
finanzio una volta l’anno. Può capitare che passino dei mesi, anche
degli anni, senza che quel denaro venga utilizzato, ma so che ci sono e
che prima o poi potranno essere sfruttati adeguatamente. Come poi
approcciarsi all’utilizzo dipende dalla volontà del donante. In sintesi:
la FC mette a disposizione del donante una serie di servizi e
competenze che favoriscono la cultura del dono, come la conoscenza
profonda degli enti non profit presenti sul territorio, la possibilità
di creare rapporti con altri potenziali donatori o la facilitazione dei
rapporti con burocrazia e pubblica amministrazione.
Può parlarci delle capacità di investimento delle fondazioni?
Tutte le fondazioni dovrebbero avere una propria strategia di
investimento. La fondazione, semplificando un po’ il discorso, può
ricevere donazioni destinate all’immediato utilizzo per finanziare uno
specifico progetto o associazione, oppure donazioni che non devono
essere spese immediatamente e che quindi vanno a comporre il patrimonio
della fondazione. Il donatore, immettendo denaro nei fondi che
costituiscono il patrimonio della FC, può usufruire di benefici di scala
e vedere aumentare le risorse destinabili all’erogazione, oltre
ovviamente a una serie di vantaggi legati alla gestione intermediata. Il
donatore può quindi decidere di allineare le proprie donazioni con le
strategie di investimento scelte della fondazione, ma può anche
richiedere un tipo di gestione autonoma.
Ma la fondazione così non si assume dei rischi?
Certamente, ma la fondazione ha l’obbligo di investimento. Se non
si investe i soldi si deprezzano, si perdono o non rendono e, di
conseguenza, la fondazione vede diminuire le proprie capacità erogative
di lungo periodo. Questo sicuramente è uno dei punti più fragili sul
quale c’è ancora del lavoro da fare: l’idea che il denaro che la
fondazione ha nel suo patrimonio debba essere investito con una
strategia di lungo periodo non è ancora entrata nelle corde di molti
consigli di amministrazione. Pensi che in Canada un tribunale ha
condannato il Consiglio di Amministrazione di una fondazione perché la
strategia di investimento utilizzata non permetteva un consistente
aumento del patrimonio. Secondo il giudice questa scelta ha indebolito
la disponibilità economica della comunità, e ha pertanto determinato una
condanna per il CdA. Ora, prima che in Italia si verifichi un caso
simile a quello canadese ci vorrà molto tempo, ma il concetto che sta
alla base è semplice: le FC devono investire in modo da avere ritorni
che permettano di perseguire lo sviluppo della comunità. Oggi
indubbiamente viviamo un momento complicato dal punto di vista
economico, ma necessariamente le FC devono investire in attività
redditizie che permettano, almeno, di coprire inflazione, costi e tasse,
e di generare una disponibilità di erogazione di almeno il 3% del
patrimonio investito, il che vuol dire una redditività annuale di almeno
il 7%. Per avere tale redditività bisogna pensare ad una strategia di
investimento di un certo tipo, sennò a tale obiettivo non ci si arriva.
In Italia questi passaggi sono complicati, e se uno guarda alla
redditività degli investimenti delle fondazioni italiane noterà che
questa è molto più bassa di quelle di altri Paesi europei. Questo è
dovuto sicuramente a fattori culturali propri del nostro Paese, ad un
approccio molto formalista e poco incisivo che punta a non rischiare mai
e arrivare alla fine dell’anno col bilancio che non sia mai in perdita,
mentre un investimento di lungo presuppone una volatilità e quindi la
possibilità di avere delle perdite nel breve periodo. E’ uno dei settori
in cui serve ancora molto lavoro.
Dal punto di vista della
distribuzione sul territorio si nota una forte presenza delle fondazioni
nel Nord del Paese, mentre al Sud ce ne sono molto poche. Come mai?
Nel Sud del Paese la Fondazione con il Sud
ha stanziato molte risorse per favorire la diffusione delle FC anche
nel Meridione, dove attualmente sono presenti solo due fondazioni.
Questa è una cosa buona, ma non basta fornire risorse finanziare per
sviluppare strutture come le FC. Creare una FC è molto complicato e non
basta avere le risorse economiche per farne nascere una: servono
soggetti disposti a investire tempo ed energie. In Lombardia dal 1999 al
2003 si sono costituite 12 fondazioni perché non c’erano a disposizione
solo soldi, ma anche strutture e persone che lavoravano a tempo pieno
su questi progetti. Sicuramente senza queste risorse non-economiche le
FC in Lombardia non sarebbero cresciute così velocemente. Non è
fattibile, soprattutto in una realtà molto complessa come il
mezzogiorno, pensare di potersi limitare alla fornitura di denaro per
ottenere dei risultati. Esiste quindi una mancanza di competenze
prettamente tecniche. La macchina, essendo molto complessa, non può
avviarsi solo attraverso erogazioni finanziarie, ma necessita di
specifiche conoscenze in materia. Prendiamo in considerazione la
contabilità di una FC: è un aspetto talmente complesso che non basta
neppure la partita doppia, ma serve una “doppia partita doppia”. Senza
qualcuno in grado di supportare lo sviluppo di questi aspetti è
difficile giungere a dei risultati apprezzabili: senza un personale
qualificato la fondazione non può andare molto lontana. Pensare di
sviluppare il settore solo attraverso risorse monetarie è pertanto
insufficiente, serve una continua assistenza e questo non sempre è stato
percepito come un punto centrale.
E per quanto riguarda il Nord?
Al Nord sono presenti un maggior numero di FC, in primo luogo le 15
sviluppatesi grazie alla Fondazione Cariplo. Il progetto promosso dalla
Cariplo ha mostrato alcuni limiti, come ad esempio il fatto che in
alcuni casi le FC si sono ridotte ad essere referenti territoriali della
Fondazione Cariplo, ma è comunque un’iniziativa ben avviata e presente
in tutta la Lombardia. Abbiamo poi le FC collegate alla Fondazione di Venezia, che
tuttavia danno l’impressione di concepirsi come uffici territoriali
della stessa. poichè non è stato fatto un lavoro volto a svincolarle
maggiormente dalla casa madre. C’è poi la Fondazione della Valle D’Aosta,
che a causa dell’esigiutà del territorio e della forte presenza della
pubblica amministrazione si sta sviluppando con una certa lentezza, e le
due fondazioni liguri, nate a Imperia e Savona. Interessante è il caso della Fondazione della Comunità Veronese,
nata circa un anno fa, che risulta essere l’unica non legata a una
grande fondazione di origine bancaria. E’ molto giovane e la sua forza
economica, per ora, è ridotta, ma pare sia riuscita ad avviarsi
positivamente e sta iniziando a fare delle buone cose sul territorio.
C’è poi la Fondazione Mirafiori,
la cui attività tuttavia si è incentrata sulla gestione del Parco
Colonnetti e che per questa ragione si è poco sviluppata in altri
ambiti. Questo perché la gestione diretta di un progetto impedisce ad
una FC di concentrarsi principalmente sui donatori e sulle erogazioni e,
avendo i progetti scadenza precise, tende a fagocitare le risorse e le
energie della fondazione stessa. La fondazione in questo caso rischia di
limitare fortemente il suo ruolo di intermediario filantropico,
diventando sempre più gestore di un’iniziativa specifica e di
confondersi con le altre nonprofit. Ci sono poi un po’ di fondazioni
fatte da enti pubblici, soprattutto nel Nord-Est, di cui tuttavia non
saprei dire il livello di sviluppo attuale. Solo negli ultimi anni,
comunque, si è registrato un aumento d’interesse per le FC che ha
favorito l’emergere di gruppi promotori in varie zone del Paese. Lo
sviluppo che si poteva sperare non c’è stato anche perché le fondazioni
d’origine bancaria che potevano svolgere un ruolo strategico nel
promuovere l’idea hanno a lungo percipito le FC solo come referenti
territoriali della Fondazione Cariplo e quindi poco interessanti per
enti che operano su un territorio molto più ristretto.
Quindi da un lato Cariplo è stata la promotrice dei progetti…
Se non ci fosse stata Cariplo sicuramente non ci sarebbero le fondazioni di comunità in Italia.
… però dall’altro tutti
coloro i quali sono esterni a Cariplo hanno una sorta di timore
nell’affrontare il tema delle fondazioni di comunità. E’ corretto?
Si tende a pensare che la fondazione di comunità sia un soggetto
delegato dalla Fondazione Cariplo alla gestione del territorio, o al più
si ritiene che le fondazioni di comunità possano sorgere solo con la
presenza di una grande fondazione di origine bancaria alle spalle.
Ma, oltre al caso di
Verona di cui abbiamo parlato precedentemente, esistono altre realtà
prive del sostegno di una fondazione bancaria?
Effettivamente l’unica che è partita senza nessun sostegno è la
fondazione veronese. Anche la fondazione di Savona era partita in
maniera simile, ma ora ha rapporti con la Compagnia di San Paolo. Si, solo la fondazione veronese attualmente non ha il sostegno diretto di una grande fondazione bancaria.
Una fondazione di comunità
che non si affida a una fondazione bancaria ha secondo lei la
possibilità di strutturarsi sul territorio?
Per ora la fondazione di Verona dimostra che è possibile. E’ chiaro
che, data la complessità che sta dietro la creazione di una fondazione
di comunità, sono ancora più necessarie persone decise e convinte del
progetto.
Le altre fondazioni bancarie come si comportano di fronte al tema delle fondazioni di comunità?
La maggior parte, soprattutto quelle di piccole di dimensioni, non
prendono seriamente in considerazione l’ipotesi perché, come detto, le
vedono come distaccamenti territoriali di Cariplo e quindi pensano che
la promozione di una simile infrastruttura abbia senso solo se si deve
gestire un territorio molto esteso. In pratica si concentrano solo sul
primo aspetto che ha spinto la Cariplo a dar vita al progetto e non
considerano il secondo, ossia la capacità di catalizzare donazioni nel
territorio. Questa percezione tuttavia sta progressivamente cambiando.
Secondo lei la fondazione di comunità è uno strumento che potrebbe essere ampliamente implementato in Italia?
Ne sono assolutamente certo. E sono sicuro che se una fondazione
bancaria medio-piccola superasse le proprie remore nel costituire una
FC, decidesse di investire in questo ambito avrebbe tali e importanti
successi che sarebbe presto seguita dalle altre. Sono diversi i
presidenti di fondazioni bancarie che, dopo aver spiegato loro cosa
effettivamente le FC fanno, mi hanno confessato che hanno dovuto
cambiare radicalmente l’idea che si erano precedentemente fatti circa il
loro ruolo e funzione. Dall’altro lato iniziano a esserci sempre più
richieste provenienti proprio dalle comunità, sia sotto forma di
richieste istituzionali che dalle associazioni. Indubbiamente c’è quindi
un interesse che bisognerebbe in qualche modo assecondare. A questo
proposito è stato recentemente creato, con l’idea che possa fungere da
“incubatore” delle future FC, il Comitato per il Dono, di cui è
presidente Zamagni. Potremmo considerare questo soggetto come una sorta
di fondazione di comunità a livello nazionale. Il Comitato dovrebbe
favorire la nascita di FC laddove ancora non esistono, creando fondi
appositi che permettano l’avvio del progetto e l’indispensabile supporto
tecnico che come detto è necessario affinchè una FC si sviluppi
correttamente. Inoltre, mentre le FC si formano e agiscono su un
territorio specifico, il Comitato opera invece su tutto il territorio
nazionale con l’idea primaria di poter assistere quei donatori che hanno
esigenze non geograficamente limitate, o che hanno necessità di operare
a cavallo di due territori coperti da due fondazioni distinte. Se per
esempio un soggetto volesse attivare un progetto riguardante i territori
che si affacciano sul lago di Como oggi dovrebbe rivolgersi sia alla
Fondazione della provincia di Lecco sia alla Fondazione Provinciale
della Comunità Comasca, raddoppiando ovviamente gli sforzi per mantenere
contatti con entrambe. Il Comitato potrebbe permettere di superare
queste limitazioni e attivare misure in grado di coinvolgere due o più
fondazioni nello sviluppo del medesimo progetto.
Secondo lei le fondazioni
in generale (fondazioni di impresa, fondazioni bancarie, fondazioni
universitarie, etc.) possono svolgere un ruolo importante per il nostro
Paese?
Credo
che il punto sia questo: le risorse che questi enti possono mobilitare
in realtà sono, rispetto sia alle risorse pubbliche che a quelle
private, molto marginali Se noi guardiamo agli Stati Uniti, che hanno un
settore filantropico notevolmente più sviluppato del nostro, le
donazioni provenienti dalle fondazioni sono meno del 15% del totale. E’
pertanto sbagliato, soprattutto in relazione alla situazione italiana,
pensare che le fondazioni potrebbero in qualche modo sostituirsi al
settore pubblico o al contributo diretto dei privati. I soldi erogati
dalle fondazioni sono però soldi interessanti, perché possono essere
utilizzati per investimenti strategici. Quali sono questi investimenti?
Assifero ha individuato sei modalità strategiche con cui investire tali
risorse, e che potrebbero contribuire positivamente allo sviluppo di una
società più solidale. Tali modalità sono: intervento in caso di
emergenza, sperimentazione di soluzioni innovative, mobilitazione
risorse aggiuntive, sensibilizzazione ed advocacy, sviluppo degli enti
non profit e promozione del’impatto collettivo. Le fondazioni,
ribadisco, devono comunque mantenere un ruolo ancillare, e non possono
essere considerate leader di questo cambiamento sociale. Questo per due
ragioni: non hanno la legittimazione per farlo, se lo facessero sarebbe
una forma di plutocrazia, e non hanno le conoscenze per imporre un reale
cambiamento. Mi spiego meglio: le fondazioni non sono “in prima linea”,
non hanno la piena coscienza della realtà sociale e rischiano,
pertanto, di farsi delle visioni astratte delle soluzioni senza poi
riuscire a cambiare in meglio le cose. Il ruolo delle fondazioni è
quello di facilitatore, non di risolutore. Il cambiamento dovrebbe
essere guidato dalla politica, che però in questo momento non si sta
rivelando all’altezza del compito, e dalla società civile e in
particolare dagli enti non profit, i quali tuttavia sono concentrati
principalmente sulla loro attività e sono carenti sotto questo punto di
vista. Quello che secondo me bisogna fare è aiutare gli enti non profit a
stabilire delle visioni condivise su cui poi lavorare. In questo caso
le fondazioni possono essere quei soggetti in grado di mettere i diversi
attori del non profit intorno ad un tavolo, che possono fornire risorse
che nessun altro sarebbe in grado di mettere, che possono costringere
gli enti ad avere un approccio critico nei confronti dei loro limiti
stimolandoli a migliorare. E’ infatti sempre possibile che le
organizzazioni non profit perdano di vista il loro reale obiettivo e
diventino succubi delle logiche produttivistiche siano esse pubbliche o
di mercato. Le fondazioni potrebbero contribuire a mantenere alta
l’attenzione delle organizzazioni, aiutandole a porre al centro della
propria attività il tipo di cultura di cui sono portatrici piuttosto che
la gamma di servizi offerti. Le organizzazioni non proft offrono una
visione che permette alle persone di manifestare una dimensione, quella
della generosità, della relazione sociale, della solidarietà, che il
pubblico e il mondo profit non sono in grado di stimolare e che, invece,
il privato sociale può continuare a generare a condizione di non
abbassarsi alla logica della produttività. Il nostro compito come enti
di erogazione è quello di favorire e mantenere viva questa
consapevolezza, spingendo il privato sociale a comprendere sempre meglio
quale sia la sua missione e, in seconda istanza, aiutarli a realizzarla
con gli strumenti che possiamo offrire.
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