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Benché le fondazioni siano un istituto secolare del nostro diritto
civile, in realtà esse sono una scoperta recente per la nostra società.
Fino a pochi decenni fa erano considerate un residuo di epoche ormai
definitivamente tramontate. Potrebbe perciò sembrare strano esprimere
l’esigenza di rifondare delle realtà che, nella maggior parte dei casi,
hanno meno di dieci anni di vita se non ché, anche una riflessione
superficiale, mostra con chiarezza come questa crescita nasconda troppo
spesso la volontà di utilizzare in via strumentale un istituto che può
essere gestito in modo sostanzialmente non democratico e poco
trasparente. Gli scandali che coinvolgono fondazioni sono una prova
evidente di come questo istituto abbia la necessità di essere
profondamente ripensato attraverso uno sforzo volto a riscoprirne il
vero senso e significato.
La cultura giuridica di questi ultimi decenni è talmente decaduta che
sono pochi coloro che riescono a comprendere l’essenza di un istituto
la cui unicità sta proprio nel fatto di non avere padroni. Il pensiero
strumentale è talmente penetrato nelle nostre abitudini mentali che i
più non riescono a capire cosa sia la personalità morale, il vero
fondamento della soggettività giuridica, e riducono il tutto alla mera
limitazione della responsabilità patrimoniale. In altre parole, non si
acquista più la dignità di persona in quanto si persegue uno scopo
talmente nobile da poter essere identificato con la manifestazione del
corpo mistico e quindi degno di diventare un fine in sé, un fine che
trascende anche le persone che hanno deciso di promuoverlo, ma
semplicemente perché si dispone di un patrimonio, peraltro alquanto
ridotto, con il quale garantire eventuali creditori.
Da parte loro gli organi di controllo, dopo aver dato vita a
comportamenti quasi vessatori al momento del riconoscimento, se ne
disinteressano quasi totalmente, rinunciando a qualsiasi verifica che
garantisca l’effettivo rispetto delle finalità statutarie. È poi
mentalità corrente vedere nella fondazione uno strumento nelle mani del
fondatore che ne può fare quello che più l’aggrada, dimenticando che
essa non ha padroni e che anche il fondatore deve essere al servizio dei
valori e dei principi in essa incarnati, poco importa che sia stato lui
a volerli istituzionalizzare permettendo loro di vivere autonomamente.
Rifondare l’istituto della fondazione significa perciò riscoprirne
l’essenza nella speranza che un’organizzazione che non è riconducibile
ai principi del diritto soggettivo e degli interessi legittimi, che
rifiuta nella sua essenza quel pensiero strumentale e quell’approccio
riduzionistico che finisce necessariamente per negare la dignità della
persona umana, potrebbe porci nelle condizioni di cogliere quelle
prospettive originali senza le quali diventa difficile superare la crisi
presente e tutti i pur lodevoli tentativi di razionalizzazione e di
lotta agli sprechi rischiano di avere la stessa efficacia delle grida
manzoniane.
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