13 dic 2012

IL RUOLO DELLA FILANTROPIA IN UN'ITALIA IN CRISI: RISCHI E OPPORTUNITÀ

di Bernardino Casadei per ASSIFERO

Dovrebbe ormai essere a tutti evidente come oggi la sfida più importante sia quella di ricostruire un nuovo welfare e che esso dovrà necessariamente poggiare sulla solidarietà e sulla sussidiarietà. Si tratta di una sfida che non ci viene imposta solo dal senso di giustizia che dovrebbe guidare ogni nostro agire, ma anche dalla consapevolezza di come anche lo sviluppo economico dipenda dalla crescita del privato sociale. È questo un settore, infatti, che non si limita a distribuire ricchezza come alcuni potrebbero pensare, ma che oltre a generare valore che si concretizza nei posti di lavoro che quotidianamente crea, esso può dare un contributo fondamentale nella creazione di quel capitale sociale che, a detta di tutti, è un fattore imprescindibile affinché lo Stato e il mercato possano effettivamente funzionare. Chi crede che il welfare sia un lusso che non ci si può concedere in momenti di crisi è c hiaramente ancorato a delle teorie economiche che la realtà si è da tempo incaricata di smentire.

Naturalmente creare un nuovo welfare non può significare limitarsi ad integrare i tagli dei trasferimenti pubblici con nuove entrate, siano esse il lavoro dei volontari o i contributi della filantropia istituzionale. Una simile illusione oltre a non fare i conti sulle risorse necessariamente insufficienti che questi mondi sono in grado di mobilitare, non ne coglie l'essenza e rischia quindi di inaridire la fonte che è in grado di generarli. Strumentalizzare la generosità o anche subordinarla alle esigenze produttive rischia infatti di distruggerla e gli eventuali risparmi che potranno essere conseguiti nel breve verranno pagati a caro prezzo, come l'involuzione della cooperazione sociale ci insegna.

Creare un nuovo welfare significa dotare la nostra società di istituzioni che favoriscano le relazioni umane, senza le quali la solidarietà e la sussidiarietà non possono manifestarsi ed è questo il vero compito che attende il privato sociale. La pur importante produzione di beni e servizi da parte di questo settore deve essere considerata la conseguenza e non il fine dell'operare degli enti non lucrativi aventi finalità d'utilità sociale. Solo sfruttando la loro naturale propensione a creare legami e a generare fiducia sarà possibile sfruttare pienamente le loro potenzialità e quindi porre le basi per quella coesione sociale che è condizione imprescindibile non solo per la crescita morale e civile, ma anche per quella economica e sociale.

Da queste premesse dovrebbe emergere con chiarezza la necessità da parte degli enti d'erogazione di ripensare radicalmente il proprio ruolo. Se, per lungo tempo, le fondazioni hanno creduto che il loro compito fosse incrementare la produttività degli enti non profit, sperimentare approcci innovativi che altri avrebbero poi dovuto replicare, aumentare le dimensioni operative delle non profit di successo, oggi dobbiamo ammettere che questi approcci hanno dato risultati inferiori alle aspettative. Benché siano stati sostenuti progetti estremamente interessanti, troppo spesso, a livello di sistema, la condizione generale è peggiorata.

Forse un modo più efficace per usare le limitatissime risorse di cui la filantropia istituzionale dispone è quello di farsi catalizzatore delle energie positive presenti nella nostra società, energie però che quest'ultima non è in grado di mobilitare. Se invece di lamentarsi per tutti i problemi che ci affliggono, concentrassimo le nostre energie nel valorizzare le risorse che ci sono, potremmo forse dare un contributo ben più rilevante al miglioramento della qualità della vita delle nostre comunità. Esistono infatti giacimenti enormi di energie rinnovabili che una società che ha pensato di potersi sviluppare solo trasformando i vizi privati in pubbliche virtù lascia inutilizzati e che il privato sociale potrebbe finalmente valorizzare.

Si pensi solo alle donazioni che potrebbero essere mobilitate. Da un lato esistono ingenti patrimoni di famiglie prive di eredi diretti, dall'altro il fatto che il nostro Paese abbia un coefficiente di Gini che misura la disuguaglianza sociale simile a quello degli Stati Uniti indica come vi siano, pur in mezzo alla crisi presente, un numero consistente di persone che, se opportunamente sensibilizzate e coinvolte, hanno sicuramente i mezzi per contribuire al bene comune. Da questo punto di vista il fundraising ha però mostrato tutti i suoi limiti. L'obiettivo non deve essere quello di raccogliere fondi, ma piuttosto quello di aiutare le persone a donare. Si potrebbe pensare che questa sia una distinzione di lana caprina in quanto il risultato finale è comunque una donazione. In realtà nel primo caso la tentazione a strumentalizzare il donatore e a preoccuparsi principalmente dei suoi soldi è forte, mentre nel secondo caso l'obiettivo è ai utare il donante a donare, godendo al massimo di tutti i benefici collegabili a tale atto. Il fatto che due terzi dei donatori che allegano le proprie donazioni alla dichiarazione dei redditi le detraggono benché sarebbe per loro sicuramente più conveniente dedurle, è un indicatore di come l'attenzione nei confronti dei donatori sia ancora molto limitata, tanto da non aiutarli nemmeno a sfruttare al meglio i pur magri benefici fiscali attualmente disponibili.

La diffusione dell'intermediazione filantropica e il ruolo che in essa possono svolgere le fondazioni di comunità e il recente costituito Comitato per il Dono, potranno dotare il nostro Paese di un'infrastruttura sociale in grado di mettersi al servizio dei donatori, permettendo loro di vivere pienamente tutti i benefici collegati alla donazione. Si tratta di trasformare il dono da un costo, un onere, un dovere, una forma di tassazione volontaria, in un'opportunità in grado di dare una risposta convincente ad alcuni dei bisogni fondamentali della persona umana: il bisogno di identità e di dare un senso alla propria esistenza, quello di vivere delle relazioni veramente umane perché non strumentali, quello di sperimentare delle emozioni autentiche in grado di illuminare la propria esistenza. Si tratta di bisogni profondamente radicati nella natura umana e ai quali la società in cui viviamo si limita ad offrire delle illusioni o dei palliativi, mentre tutto coloro che vivono concretamente l'esperienza del dono possono testimoniare come essa sia estremamente feconda che può renderci felici, ben più dei tanti beni di consumo che spesso finiscono per degradarci.

La filantropia istituzionale può svolgere un ruolo importante anche nel dare una risposta ad una delle sfide più importanti per la nostra società: come valorizzare i giovani, evitando che questi da risorsa si trasformino in problema. Bisogna offrire loro opportunità, avere il coraggio di scommettere su di loro, metterli in condizione di sperimentare le loro idee. Troppo spesso invece i progetti per i giovani sono pensati e realizzati da adulti. Questi ultimi potranno forse essere più efficienti, ma raramente potranno essere più efficaci. Inoltre non bisogna mai dimenticare il significato educativo nello sviluppo delle proprie competenze e della stima di sé che la gestione diretta di un progetto può dare a questi ragazzi, i quali, nel contempo, potranno diventare più consapevoli dei bisogni che contraddistinguono la comunità in cui operano. Infine, può essere opportuno ricordare come il privato soc iale possa diventare, soprattutto in questo momento storico, un'importante opportunità di lavoro.
Il modello della Youth Bank, sperimentato per la prima volta in Italia dalla Fondazione Comasca, in cui giovani sono chiamati e selezionare progetti d'utilità sociale presentati da loro coetanei, è sicuramente una modalità che si sta rivelando feconda e potenzialmente in grado di lasciare un segno. Se, come del resto sta già avvenendo, gli enti d'erogazione dovessero poi dare la loro disponibilità a sostenere per alcuni anni le idee più promettenti, quelle che potranno conseguire una propria sostenibilità economica, allora sarà forse possibile innescare un circolo virtuoso in grado di dare un contributo importante alla crescita della società civile.

La filantropia può anche svolgere un ruolo importante nello sviluppo delle tanto invocate reti. Bisogna però essere consapevoli che ciò non può avvenire semplicemente erogando dei contributi supplementari  ai progetti in rete, dato che troppo spesso queste si realizzano solo sulla carta. Affinché le sinergie possano veramente manifestarsi è necessario, da un lato, promuovere lo sviluppo di una visione comune e, dall'altro, creare le condizioni affinché si rafforzino la conoscenza, il rispetto reciproco e quella fiducia senza la quale le relazioni finiscono necessariamente per diventare strumentali e poco feconde.

La sperimentazione dell'impatto collettivo, spesso promosso grazie agli enti d'erogazione, sta mostrando come un approccio che favorisca l'elaborazione di un'agenda comune in cui tutti i partecipanti condividono la visione e la missione, permetta di individuare indicatori condivisi, crei le condizioni per il coordinamento fra le varie attività, così che queste possano rinforzarsi mutualmente, stimoli una comunicazione continua fra i partecipanti e la comunità nel suo complesso, possa coinvolgere centinaia di realtà provenienti da tutti i settori e conseguire risultati veramente notevoli. L'esperienza però insegna come un simile approccio implica un investimento di lungo periodo e la creazione di una struttura di supporto che garantisca le condizioni per la collaborazione.

In una società dispersiva come la nostra non è però più possibile dare per scontato che la gente si conosca e collabori autonomamente. Per questo è necessario il contributo da parte di un soggetto che abbia come unico fine quello di aiutare i partecipanti a elaborare una visione comune senza cercare di imporre una propria agenda. Gli enti d'erogazione, oltre a mobilitare le risorse necessarie per creare una struttura di supporto che abbia come fine quello di garantire le condizioni per la collaborazione, possono svolgere un ruolo fondamentale nell'aiutare i partecipanti a superare una certa diffidenza reciproca che, dobbiamo ammetterlo, è abbastanza diffusa nel nostro settore. L'essere indipendenti, neutrali e in grado di mobilitare risorse economiche può permettere loro di dare un contributo fondamentale alla sperimentazione, anche nel nostro Paese di un approccio che sta già dando dei risultati molto positivi.

Per concludere se gli enti d'erogazione vogliono sfruttare le opportunità che la presente crisi offre ed evitare di essere strumentalizzati da chi mira solo ai loro soldi è indispensabile essere strategici ossia darsi degli obiettivi, individuare una strada per conseguirli e dotarsi di indicatori che aiutino a capire se effettivamente si sta andando nella direzione corretta. In realtà il compito è forse meno difficile di quanto si possa immaginare. L'obiettivo è evidente: creare un nuovo welfare fondato sulla solidarietà e sussidiarietà, la strada è quella della valorizzazione delle energie positive presenti nella nostra società e del rafforzamento dei legami comunitari. Non manca che l'elaborazione di alcuni indicatori per potersi tuffare in un'avventura, certo difficile, ma che potrebbe permettere agli enti d'erogazione i affermare una loro identità capace di contribuire a realizzare qualcosa di cui tutti oggi sentono un così evidente bisogno, ma nessuno, fino ad ora, sembra in grado di iniziare. 

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