Tratto da "Il dono come fattore di sviluppo" di Bernardino Casadei
Il dono non è semplicemente un atto di generosità, esso è un fattore
di sviluppo forse addirittura più importante del tanto ricordato
interesse. L'averlo dimenticato è forse il limite maggiore della
riflessione economica, la quale si sta rivelando manifestamente incapace
di interpretare la realtà in cui viviamo. Se infatti noi pensiamo alla
nostra vita scopriremo che gran parte dei nostri atti non sono mossi da
un'attenta ponderazione delle nostre utilità marginali, ma piuttosto dal
desiderio di fare qualcosa di bello, buono, giusto e vero. Diventa
quindi indispensabile, soprattutto in un momento di crisi come
l'attuale, valorizzare le energie che questa propensione è in grado di
generare, evitando di confinarle, così come troppo spesso avviene, nella
sfera privata di ciascu
n individuo.
Le più attente analisi dell'attività produttiva stanno infatti
dimostrando come anche nella vita delle imprese il dono svolge un ruolo
fondamentale. Se ognuno si limita a rispettare le proprie mansioni, non
ci mette del proprio, non va oltre, spesso senza alcuna speranza di
veder premiato questo impegno, soprattutto in una società in cui il
modello fordista in cui la macchina poteva imporre il proprio ritmo al
lavoratore è ormai definitivamente tramontato e in cui la motivazione
del singolo svolge un ruolo fondamentale, l'azienda finisce per perdere
la propria capacità innovativa e le procedure, per quanto sofisticate
possano essere, non la salveranno dal declino e, in ultima analisi, dal
fallimento. Le dinamiche che contraddistinguono la crisi presente lo
dimostrano ampiamente.
Ma donare non è facile. In una società complessa come la nostra,
senza adeguate infrastrutture, diventa impossibile dare concretezza a
questa esigenza e vivere il dono. La nostra società si è infatti
strutturata come se il dono non esistesse o non potesse che avere un
ruolo residuale, destinato a scomparire grazie all'evoluzione della
tecnica e della pianificazione sociale. Così abbiamo sviluppato
strutture sofisticatissime che ci permettono di fare qualsiasi cosa, ma
nel contempo abbiamo approfondito l'isolamento degli individui,
incrinato i rapporti di fiducia, moltiplicato le relazioni di oneri
burocratici i quali diventano ostacoli quasi insormontabili per chiunque
voglia vivere pienamente la dimensione del dono.
Per questo il vero valore aggiunto
della filantropia istituzionale nel suo complesso non sono tanto i pur
importantissimi servizi che è in grado di generare, ma piuttosto nella
sua capacità di ricreare questa rete di cui abbiamo un così evidente
bisogno. Con questo non voglio assolutamente negare l'importanza di tali
servizi i sono indispensabili per contribuire a realizzare quella
comunità solidale e sussidiaria che l'unica vera alternativa alla crisi
del welfare. Essa con il suo stesso esistere infatti contribuisce a
creare comunità, a sviluppare quel capitale sociale che è alla base di
ogni crescita non solo morale e civile, ma anche economica e sociale e
senza il quale né lo Stato, né il mercato possono funzionare.
Accanto alla funzione sociale della filantropia istituzionale,
funzione che dovrebbe interessare i politici, gli studiosi, gli opinion
maker, ma che potrebbe forse lasciarci indifferenti, c'è ne è un'altra
che invece riguarda ciascuno di noi. Essa, ed è questo forse l'aspetto
più importante, offre ad ognuno di noi un'opportunità unica per vivere
concretamente l'esperienza del dono che non è, come troppo spesso è
stata presentata, un dovere, un obbligo, una sorta di tassazione
volontaria a cui sommettersi per senso civico, ma un'opportunità per
dare una risposta ad alcune esigenze fondamentali della natura umana,
esigenze a cui la nostra società non sembra in grado di offrire risposte
convincenti: il bisogno di definire ed affermare la propria identità,
quello di vivere relazioni veramente umane con il proprio prossimo
perché non strumentali e quello di sperimentare le emozioni autentiche
di cui ab
biamo un così evidente bisogno.
In ultima analisi vivere il dono significa evitare che la nostra
esistenza si riduca ad una continua lotta per cercare di soddisfare in
modo effimero effimeri bisogni.
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